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  diciassettesimo secolo ha prodotto un'infinità di quadri lussuosamente, ossessivamente traboccanti di frutta, verdure, pane, vini, uova, formaggi mescolati a fiori e a suppellettili preziose, ma più spesso da cucina: terraglie, ceste, piatti, tegami, pentole e altri contenitori di rame o di peltro, insieme a ogni specie di selvaggina e di animali da cortile morti o vivi, e se vivi, comunque molto prossimi a essere uccisi e cucinati. Tale abbondanza era molto probabilmente l'immaginario riflesso del desiderio, cosciente o no, di roba da mangiare di un secolo tormentato dalla minaccia di due ricorrenti flagelli portatori di fame: le carestie e le pestilenze. Tutti, anche se re, dovevano sempre  temerle. 
Se si potesse penetrare nella testa, nel sentire e nel pensare di un uomo del Seicento, I'idea di essere ricco credo che la scopriremmo direttamente associata all'abbondanza del cibo e solo indirettamente al denaro. Averne molto significava certamente allontanare la paura della fame, ma non era importante in se come per gli avari, i quali, pur di risparmiarlo e conservarlo, impavidamente rinunciavano anche a nutrirsi a sufficienza, come chiarisce bene in un'altra commedia lo stesso Molière. 
Mettere in scena I'ossessione segreta di Tartufo, la fame, con la citazione di una natura morta seicentesca, è sembrato a Pugliese e a me un riferimento essenziale e risolutivo. 
Al suo tempo, il teatro di Molière non aveva scenografia. Bastavano pochi oggetti e tre porte di una sala, e sostanzialmente non cambiava granché quando capitava che la sala appartenesse al palazzo reale.  

Oggi, però, il rappresentare queste commedie in teatri di tradizione settecentesca e ottocentesca ha reso necessaria I'ambientazione scenografica.Luca De Filippo - Carola Stagnaro Non è questo tuttavia a fare del teatro di Molière un teatro difficile. Lo rendono tale semmai la forma barocca, talvolta addirittura contorta, il pensiero che ne sostanzia la parola e persino quel tanto di commedia dell'arte che lo struttura. E' però sempre interessante per la profonda complessità umana e la scelta dei temi primari: la lussuria (Don Giovanni); I'avarizia (L'Avaro); I'accidia (II Malato immaginario); I'invidia (Il Borghese gentiluomo); I'impostura (Tartufo). 
Su questi temi sono costruite commedie le cui situazioni e personaggi possono apparire, quel che non sono, facili fino a sembrare scritti per farli capire ai bambini. I quali forse sono i soli ad avere la giusta semplicità di cuore per capirli. 
E' perchè credo questo che ho pensato di essere elementare: tanto da prendere un quadro, metterlo alle spalle di chi recita e quello e "il Seicento" . Da vestire gli attori in abiti moderni per scherzare con Molière su tanti guru e finti misticismi oggi di moda. Così come ho scherzato su quel finale impossibile, scritto volutamente fuori da ogni logica, clamorosamente incredibile e in verità pessimista facendo calare dalla soffitta la "gloria" di una fastosa allegoria, ripresa da Luca Giordano, il trionfo della luce sul mondo delle ombre, il trionfo del bene sul male. 
   

   Enrico Job 
 
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