Teatro di Roma e la Elledieffe presentano 

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  LE VOCI DI DENTRO

DI EDUARDO DE FILIPPO
  REGIA
FRANCESCO ROSI

SCENE
ENRICO JOB

COSTUMI
ENRICO JOB
CRISTIANA LAFAYETTE


DISEGNO LUCI
STEFANO STACCHINI

con
Luca De Filippo
Gigi Savoia
Antonella Morea
Marco Manchisi
Carolina Rosi

 
 
   

Santi o Madonne da portare in processione. Si è persa la voglia di celebrare i momenti importanti della vita.
Così per questa o per chissà quale altra ragione, sono passati gli anni senza che nessuno più sia venuto a chiedere d’organizzare qualcosa. E, dopo tanto tempo, a forza di rimanere lì inutilizzati, gli oggetti hanno perso consistenza, divenendo fragili come i tessuti dei paramenti che gli anni vanno stramando, e come molte altre cose del magazzino, ormai sul punto di sparire del tutto e divenire fantasmi.
E così i due nipoti del filosofo pazzo che, né più né meno degli oggetti, hanno preso a nutrire anche loro, nel segreto del cuore, una sorta d’ossessione autodistruttiva. Un’ossessione simile a quella di Caravaggio, da me molto citato come sincretico reperto fotografico, nell’insistito bianco e nero della scena, dove l’unico vero colore, come per Caravaggio appunto, è l’incubo del sangue e dell’assassinio.

Questo rosso, questa sinistra oniricità, questa perdita di consistenza, questo confondere il sogno e con la realtà, a

lungo andare da forma a voci che vengono dall’anima con la materia di cui sono fatti i sogni.
Con evidenze corpose e reali che la luce trasmuta nell’incerto apparire di trasparenze e consunzioni, ho cercato di realizzare questa difficile materia. Particolarmente nella scena del secondo e terzo atto, nel quale finalmente apparirà il vero, vergognoso animo dei vicini di casa.
 

Enrico Job    

(la foto è di Pino Settanni)

Con la messa in scena di “Le voci di dentro” dopo “Napoli Milionaria!” desidero proseguire, insieme a Francesco Rosi, il discorso teatrale sulla drammaturgia di Eduardo. Le due commedie, scritte a pochi anni di distanza segnano infatti il momento di passaggio...  (leggi)
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Luca De Filippo  

Una sera dell’anno scorso, in attesa dell’inizio di uno spettacolo al Teatro Quirino, il critico Aggeo Savioli, che aveva apprezzato la mia regia di “Napoli Milionaria!”, mi si rivolge per chiedermi: «Ma perché non metti in scena “Le voci di dentro”?»... (leggi)
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Francesco Rosi

Dall’alto del suo abitacolo, come un antico stilita, un decrepito filosofo pessimista, disgustato dell’umanità, non parla più e sputa su chi gli capita a tiro.

A volte dice qualcosa, ma solo se strettamente necessario, e con uno spettacolare alfabeto di sua invenzione, fatto di botti e castagnole.

Proprio da quando ha smesso di lavorare però, la “ditta organizzatrice di feste” di questo vecchio ex apparatore ha cominciato ad andar male, tanto da far pensare ai suoi due nipoti, cui ha lasciato in eredità quel lavoro, che a Napoli si sia smesso di fare feste. Saranno stati i disastri che la guerra ha provocato anche nel cuore della gente, ma già da diversi anni più nessuno viene a chiedere di noleggiare sedie, paramenti o fuochi d’artificio, e tantomeno

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