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![]() di Giorgio Prosperi È sciocco paragonare «Uomo e galantuomo» di Eduardo De Filippo nella interpretazione dell'autore con la lettura che, della stessa commedia, ci dà Luca, primogenito di Eduardo. Le due versioni non sono in polemica tra loro sono due diverse valenze, Così pure. è ridicolo parlare di moda come purtroppo molti fanno, a proposito del teatro, perché uno spettacolo non è un vestito. che passa di stagione ed invecchia; al contrario l' arte è ciò che non passa anzi: noi leggiamo i versi di Dante come fossero di ieri e di domani. Ma se ci vestissimo come Dante faremmo ridere. Chiarita questa controversa questione, diciamo che tra Eduardo e Luca non c'è tanto una differenza di età, quanto una differenza di ritmo. Eduardo sembra sempre riflettere, poi tira fuori la battuta all'istante: anzi la medita, direi che l'assaggia come per assicurarsi che è giusta. Luca, al contrario, pare che maneggi una pistola a ripetizione. Ricordate la prima battuta del protagonista, «attore», prima di iniziare le prove: «Nzerra ch'ella porta».(Chiudi quella porta). Eduardo la diceva e poi la ripeteva con progressiva stanchezza; con evidente distacco. Luca la lancia come un ordine di attacco. Deve anche competere con il suggeritore, il giovane Attilio, forse più aggressivo del necessario. Ma Luca lo fronteggia come si deve. Da questo minimo paragone si possono trarre due stili, due modi di vedere Io spettacolo: Eduardo lo vedo come persona riflessiva, che pian piano, scena dopo scena, si accorge d'essere capitato in un mondo di pazzi, finché, per resistere al dilagare dalla follia, si finge pazzo anche lui. Lo spettacolo di Eduardo è pieno di colori, sfumature, accordi e contrasti quasi musicali; quello di Luca è uno scontro di bianco e nero, «bianco e nero» Io definisce Io stesso regista. l ritmi sono rapidi, al limite dell'innaturalità, perché la storia è in qualche modo innaturale, Angela Pagano, ad esempio, nella doppia parte di Viola, attrice, e della serva Assunta, si trasforma in due personaggi al limite della verità, pesante, affaticato il primo con la sua gravidanza avanzata, il secondo con un ritmo sostenuto e invadente, che la spedisce curva e tesa al suo obbiettivo, incurante dalle distrazioni della scena. Bianco e nero è dunque una immagine di contraddizioni nette, di ritmi sostenuti dalle parti avverse, fino, talvolta, a rasentare il balletto o la commedia dell'arte. Ma se queste due forme possono essere evocate per un istante dal buio del loro riposo, tuttavia si tratta di approssimazioni esplicative di uno stile rapido e brillante, come è nella vita Luca De Filippo. Tanto è vero che lo stile è l'uomo. Sicchè, mentre nello spettacolo di Eduardo ci si sorprende ogni volta che in un rispettabile personaggio si rivela un imbroglio, qui, al contrario, ci si sorprende che il tale o il tal altro sia ancora incensurato; e si aspetta l'immancabile scoperta del male. Il direttore d' orchestra di questo movimentato allegro è naturalmente Luca De Filippo, coi suoi nervi sensibili, i ritmi rapidi, la sua invitta vitalità. Lungo, magro, agile, Luca racconta se stesso: lo stile è l'uomo. Accanto a lui va ricordata innanzi tutto Angela Pagano nella doppia parte dell'attrice Viola e della serva Assunta, e poi Nicola Di Pinto, il Conte tolentano, un marito tradito, il quale non fa che ricevere il rimbalzo dei suoi tradimenti, Cristina Liberati, la moglie Bice, che rende pan per focaccia, Mario Porfito nei capogiri di un delegato di polizia, Sebastiano Nardone un giovane benestante, che si diletta di esperienze amorose, e Vincenzo Schiaffarelli, Francesco Biscione, Umberto Bellissimo, Enzo Scudellaro, Lalla Esposito, Isabella Salvato: Bruno Garofalo ha disegnato le scene, gli adatti costumi, Nicola Piovani ha creato le musiche. Teatro pieno, applausi e chiamate a non finire. |
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